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Chiesa Parrocchiale di Trivero Matrice dedicata ai Santi Quirico e Giulitta

 

 

LA PARROCCHIA DI TRIVERO MATRICE

L’estremo lembo orientale delle prealpi biellesi fu soggetto alla Pieve di Naula (ora frazione Piane del Comune di Serravalle Sesia), la cui giurisdizione si estendeva alle chiese della Valsessera (per la nostra Diocesi di Trivero e Coggiola) e alle valli di Sostegno e di Curino.
Trivero nel 986 fu donato da Ottone al Conte Manfredi e nel 999 al Vescovo di Vercelli. La radice del nome, scrive mons. G. Ferraris, ne tradisce la origine celtica e rivela, come in genere la toponomastica alpestre del Biellese, la presenza tra i monti di gruppi etnici preromani, e che la penetrazione latina in questa zona appartata e selvaggia, se ci fu, per la sua superficialità non potè lasciar tracce, né tanto meno sovrapporre una nuova toponomastica a quella primitiva.
Come rettoria Trivero ha origini medioevali e la sua chiesa, dedicata ai SS. Quirico e Giulitta, rimase per secoli l’unica chiesa del vasto territorio dei comuni di Trivero e di Portula. Nel 1298 questa chiesa era già tassata per la rilevante somma di 46 lire pavesi e all’inizio del secolo successivo Trivero fu il centro della lotta contro l’eretico fra Dolcino, per cui molto ebbe a soffrire sia nei suoi diversi centri abitati, che nelle sue chiese.
Nel 1343 Antonio de Bulgaro, canonico vercellese, era confermato dal Card. Guglielmo dei SS. Quattro Coronati a “chierico” della chiesa di Trivero. Nel 1303 si trova il nome del primo parroco nella persona del prete Aichino e nel 1440 del sac. Milano Falchetto.
Nel 1497, secondo l’andazzo del tempo, che permetteva ai sacerdoti di avere più parrocchie e benefici, era rettore Bernardo de Spinis, canonico della collegiata di S. Stefano di Biella, il quale nel 1510 rinunciava e gli succedeva il fratello Antonio de Spinis. Quest’ultimo rimase in carica solo alcuni anni e poi la parrocchia ritornò al fratello can. Bernardo. Nel 1525 nuova rinuncia da parte del canonico, ma a favore del capitolo di S. Stefano di Biella. Il 31 dicembre di tale anno il Vescovo Agostino Ferrero, con il consenso e l’approvazione del capitolo vercellese e su istanza dei canonici di Biella, decretava l’unione della chiesa parrocchiale di Trivero al collegio degli innocenti, che lo stesso vescovo nel 1524 aveva fondato presso la collegiata di S. Stefano di Biella per assicurare il canto e il servizio liturgico nelle funzioni. Durante questo periodo la parrocchia fu amministrata da un viceparroco, come si può desumere da un doc. del 1531, in cui è nominato il «Presbjtero Bartholomeo de Aprili Vice Curato Ecclesie Triverij pro ipsa ecc.ia seu perpetuo in ea curam gerentibus …».
Questa unione durò però pochi anni, poiché, per bolla papale del 7 Luglio 1542 la parrocchia di Trivero veniva staccata dal capitolo di Santo Stefano e al suo posto veniva unita la chiesa di Mosso S. Maria. Con la stessa bolla era anche nominato rettore della parrocchia di Trivero il triverese Guglielmo Zegna, che esercitò la cura fino al 1590.
La decadenza e le rovine in cui fu coinvolta nel passato la pieve di Naula, dovettero portare ben presto nelle rettorie dipendenti il diritto del fonte battesimale e non credo di errare affermando che Trivero abbia avuto il proprio fonte fin dal secolo XIV. Ma probabilmente, come si riscontra per la vicina parrocchia di Postua, ancora alla fine del sec. XVI Trivero doveva ricevere l’acqua battesimale dalla parrocchia di Crevacuore, che aveva sostituito come vicariato la pieve di Naula.
Nella Visita Pastorale del 1567 si accenna al beneficio parrocchiale, formato da alcuni appezzamenti di terreno, coltivati a prato, con piante di castagno e da una raccolta di biada, fatta tra gli abitanti del paese. A proposito di quest’ultima il parroco D. Guglielmo Zegna riferiva che «quanto al particolar delle decime gl’homini gli danno della biada ma non jn modo de decima ma spontaneamente per ellemosina dicendo che non sono obligati a pagar decime …». Quest’usanza di offrire della biada sotto forma di decime continuò fino ai primi decenni del secolo scorso. Infatti nella relazione del 1819 il parroco si lamentava «che dalla massima parte dei capi di casa non viene corrisposta» e in quella del 1830 aggiunge: «Decime primizie nulla, salvo d’una mezza emina segala, che corrispondea de cadun particolare sino al 1822, epoca che cessarono idealmente abbenchè il Parroco abbia ottenuto dalla Curia Vescovile di Biella con Decreto 17 10bre 1824 la facoltà di conseguire dalla Chiesa Parrocchiale la somma di £. 200 in compenso di tal emina».
Il secolo XVI segnò l’inizio dello sfaldamento dell’unità parrocchiale del vasto territorio di Trivero. Si cominciò con la chiesa di Bulliana, che nel 1534 ottenne il fonte e il cimitero e nel 1618 l’indipendenza parrocchiale. La seguì Portula nel 1628 da cui nel 1796 si staccò Castagnea e nel 1840 Masseranga. Nel 1740 fu la volta di Pratrivero; nel 1839 di Botto e nel 1840 di Cereie; in ultimo nel 1935 Ponzone.
Nella Visita Pastorale del 1606 si legge che la parrocchia contava allora 400 famiglie e 1000 abitanti, di cui 800 ammessi alla Comunione. Da annotazioni scritte da alcuni parroci di questo secolo e del secolo successivo su alcuni registri parrocchiali, si possono rilevare notizie interessanti circa avvenimenti e fenomeni atmosferici, che si abbatterono su Trivero e sull’Italia. Ne riportiamo alcune: «Nota come l’anno 1628 fu unas grandissima Carestia in tutte queste montagne circonvicine e fu fatto il cibo delle bestie cibo delli homini e si vandì il formento fiorini tranta il quartarone e la segala scudi trei e il giorno di S.to Quirico dopo il vespero facieva fredo che bisogna che metesi il mantello sopra le spalle» – «Il 1629 peggio del passato». «Il 1630 si mitigò alquanto ma vi s’aggiunse la contagione quasi per tutta l’Italia e guerra per il piemonte principalmente et in Savoija» – «Alli 3 Maggio 1644 venne tanta neve che coprì tutto il monte di S. Bernardo e si fermò sino alle case di roveglio e mentre poi si diceva la prima messa si rinforzò tanto che si fermò sin alla Sella» – «Alli 13 maggio 1646 è venuto un piede di neve sopra il monte di S. Bernardo e giunse sino a Caulera» – «Alli 11 aprile 1655 è venuta neve grande sopra tutto il monte di S. Bernardo e giunse sino alla Sella» – «Alli 2 ottobre 1657 ne è venuto neve in quantità per tutto il luogho …» – «1662 hebbe un Inverno crudele con grandissima neve e freddo crudele morte delle Persone attempate» – «… 1690 Incomincia mel piemonte una guerra con abruchiamenti e sacheggi di molte terre in d.° piemonte» – «1691 s’è preso Nizza fa francesi comandati da monsù Gatenat già frate de P. P. Gesuiti». – «1692 il giorno dì S. Tomaso Apostolo si è preso per assedio cioè per mancanza di aqua Monmigliano dal sud.° monsù Gatenat con un assedio et ablocamento di due anni circa con perdita di gran numero di francesi, la piazza era governata dal Sig. marchese Bagnasco Genera.mo Campione che se né sortito con un hono.ma Capitolazione a favore di S.A.R. Vittorio Amedeo …» – «1695 alli 9 luglio si cangia la sorte, S.A.R. Vittorio Amedeo assedia Cassale … e si demolisce la piazza tenuta da francesi ch’era la cittadella, creduta per inespugnabile».
«L’anno 1756 si è rifatto il ponte detto della Babbiera sopra la Sessera che traduce i Passeggieri dalle falde del monte S. Bernardo all’arduo cammino della Foggia …» – «L’anno 1757 si è dalla Comunità fatta ristorare l’aguglia del Campanile dela Chiesa parochiale con oglio, ferraccia, orva. Sabbia di Sessera, buona calcina …». «L’anno 1796 li 25 e mattina del 26 Aprile cadde neve in non poca quantità specialmente a S. Bernardo e nelle attigue montagne, ma tra noi fra poche ore si liquefò».
Nei secoli passati la popolazione di Trivero non fu tra le più devote della diocesi nell’osservanza delle leggi cristiane, soprattutto nelle pratiche di pietà. Lo fa notare il Vescovo in due Visite Pastorali del sec. XVII. In quella del 1665 fa infatti rilevare la freddezza religiosa dei Triveresi («… attento quod populus frigide concurrebat») e in quella del 1692 la poca frequenza ai Sacramenti («… Communioni gen.li vacavit, in qua centum quinquaginta et ultra persone Sacro cibo refecte fuere, et quia paucus videtur numerus monitum fuit Populus pro confessione et Communione in crastinum»).
Le stesse feste sovente degeneravano in risse e nei resoconti del secolo scorso sovente si trovano le spese «per i carabinieri per il buon ordine nella solennità de Carmine» o «per evitare i disordini già incominciati nel giorno di S. Quirico». Nonostante questi inconvenienti i Triveresi erano stati però tra i primi ad erigere le compagnie del SS. Sacramento e del S. Rosario, risalendo la prima al mese di maggio del 1589 e la seconda al 9 settembre 1584.
L’A.P. ha documenti in buona quantità, ad iniziare dal sec. XVI. Gli atti anagrafici sono tra i più antichi della diocesi, risalendo gli atti di battesimo al 1522, quelli di matrimonio al 1588 e quelli di morte al 1615. Peccato che quelli più antichi siano mancanti degli atti di alcuni anni ! Dai registri dei morti si ricavano notizie assai utili per la conoscenza della vita del passato. Zona montagnosa, anche Trivero ebbe le sue vittime ad opera dei lupi, che trovavano nelle selve il loro habitat naturale. Sono due: la prima fu un bambino di 8 anni, Giacomo Botto, «a facibus lupi rapacis ad tumulum traslatus» il 12 maggio 1646; la seconda una bambina, Caterina Maron Pot, «a rapaci lupo interempta» e sepolta il 29 aprile 1648.
Ancora vittime delle asperità dei monti, delle impetuosità dei torrenti e dei fenomeni atmosferici, furono alcuni pastori e viandanti, come Giovanni Barberis, travolto dalle onde del Ponzone e ritrovato presso Crevacuore, dove l’8 ottobre 1727 fu sepolto; Quirico Lora, di anni 61, morto in seguito ad una caduta da una rupe sui monti di Trivero, mentre pascolava le pecore il 19 giugno 1752 e Pietro Craviolo, ventinovenne, annegato nel fiume Cervo presso Formigliana e sepolto nel cimitero di Collobiano il 4 luglio 1752; Giovanni Battista Valle, 25 anni, ancora travolto dalle onde del Cervo e sepolto il 29 giugno 1757a Valdengo, dove era stato trovato; Martino Lora, di 36 anni, passtore ucciso d un fulmine, su monti della Caulera, mentre porgeva del pane ad una sorella il 15 giugno 1760; Carlo Gianzana di Locarno sui monti di Varallo, di appena 9 anni, annegato nel torrente Sessera e ritrovato il 26 novembre 1772, ecc.
Ma il numero maggiore di vittime della cronaca nera è dovuta ad assassinii, che si susseguirono ininterrottamente in quasi tutti gli anni, bollando Trivero di un primato, che non si riscontra in nessuna altra parrocchia della diocesi. Persino un parroco, D. Guglielmo Zegna (1542-1590), fu accusato di assassinio. Risse e vendette si risolvevano a colpi di schioppo. Ne citiamo qualcuno: Antonio Guala «in itinere a Valle Serva in valle betulij a secario iniquo interemptus» il 14 agosto 1468; Bartolomeo Longo della Valcamonica, sposato e abitante a Trivero, che «lexone in publico itinere tormenti bellici ignavia a quidam sicario laxato igneo globulo percussus in capiter oblit» il 7 ottobre 1648; Giacomo Francesco Lora, ucciso «ictu sclopi» l’8 febbraio 1651; Antonio Ceruetto, abitante a Portula, ucciso da tre colpi di schioppo il 1 maggio 1652; Giovanni Battista Aprile, ucciso alla Caulera, mentre ritornava da S. Bernardo il 17 giugno 1658; Giovanni Guala, console del Comune di Trivero, ucciso di notte nella casa di Pietro Doda a Bulliana il 10 marzo 1671; Giacomo Botto, di anni 20, pure ucciso di nottetempo a Bulliana l’11 marzo 1672; Lorenzo Botto, ucciso nel prato vicino alla propria casa, il 16 giugno 1680; un certo Pietro di Rueglio, diocesi di Ivrea, ucciso sul territorio di Trivero il 7 giugno 1729; Antonia Loro Piana, di anni 20, uccisa con il proprio figlio di un mese, dal marito il 5 maggio 1732; Giovanni Mabrito della diocesi d’Ivrea, ucciso «ictu sclopi» il 19 settembre 1743; Michele Zingone trucidato il 4 novembre 1745, ecc., ecc. Poniamo punto, anche se l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Trivero ebbe però anche un primato di longevità, in quanto, sotto la data del 2 gennaio 1689 è registrata la morte di Antonio de Barberio, che raggiunse la ragguardevole età di 110 anni e il 19 luglio 1693 di Quirico Filam deceduto a 102 anni.
Concludiamo ricordando l’atto di morte di Giovanni Battista Bianco di Buguggiate in provincia di Varese, eremita di S. Bernardo, deceduto il 18 agosto 1756. «Pastor ovium et anno 1640 factus Eremita S. Bernardi Triverij, qui Eccl. Parochiali S. Quirici et Julite Triverij centum oves donatione reliquit».

I PARROCI DI TRIVERO MATRICE

Aichino (1303 – ….)
In precedenza era stato rettore della chiesa di S. Stefano di Vercelli e nel 1303 fu trasferito alla parrocchia di Trivero. In seguito al suo trasferimento, il 1 dicembre 1303, Simone, abate del monastero di S. Andrea, nominava alla suddetta cura il diacono Martino Capino.

Milano Falchetto (…. – 1438 – ….)
Nel registro dei sinodali del 1438, accanto alla «Ecclesia Triverij» è ricordato il «pbr Millanus», che nel 1440 è detto espressamente rettore della chiesa di Trivero («presbiter Millanus Rector ecclesie Triverii»). Doveva essere una figura di prim’ordine tra il clero diocesano se nel 1440 era stato eletto tra gli estimatori per i contributi sinodali.

Bernardo De Spinis di Biella (14.. – 1510)
Era canonoico della collegiata di S. Stefano di Biella e il 17 dicembre 1497, come rettore della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta di Trivero, prendeva possesso della cappella di S, Antonio di Trivero, in seguito all’unione di dettta cappella alla parrocchia di Trivero, fatta dal Vescovo di Vercelli Urbano Bonivardi. Nel documento si legge che detta cappellania, «quam obtinebat ven. d.us Antonius de Spinis f.q. no. Barth.ei can.cus bugelle qui jllam sponte resignavit Eccl.ie pr.dicte parochialj». Il can. De Spinis resse la parrocchia fino al 1510, anno in cui rinunciò in favore del fratello D. Antonio De Spinis.

Antonio De Spinis di Biella (1510 – 15..)
Il 21 agosto 1510 Giovanni Gromis, arcidiacono di Vercelli, deputato apostolico, eseguiva la Bolla Papale, con cui si nominava Antonio De Spinis rettore della chiesa parrocchiale di Trivero, in seguito alla rinuncia del fratello, can. Bernardo D. Antonio prendeva possesso della parrocchia l’8 ottobre successivo. Dopo alcuni anni la parrocchia ritornava al fratello, can. Bernardo.

Bernardo De Spinis di Biella (15.. – 1525)
Fu per la seconda volta rettore della chiesa di Trivero, in anno a noi ignoto e in queste vesti nel 1525 rinunciava nuovamente alla parrocchia. Il Vescovo Agostino Ferrero accettava la rinuncia e univa la chiesa di Trivero al collegio degli Innocenti di Biella, eretto alcuni anni prima dallo stesso Vescovo presso la collegiata di S. Stefano.

Bartolomeo De Aprili (…. – 1531 – ….)
Fu gerente della cura ai tempi in cui la parrocchia dipendeva dal capitolo di S. Stefano di Biella. In un doc. del 1531 è detto «Presbjtero Bartholomeo de Aprili Vice Curato Ecclesie Triverij pro ipsa eccl.ia seu perpetuo in ea curam gerentibus …». E nel libro dei batttesimi della parrocchia, sotto la data del 28 gennaio 1538, si legge «et per me presbiterum Bartholomeum de aprili vice rectorem ecclesie Sanctorum quirici et julite de triverio». Non si hanno altre notizie.

Guglielmo Zegna di Trivero (1542 – 1590)
Il 7 luglio 1542, per Bolla Papale, la chiesa di Trivero era sciolta dall’unione col capitolo di S. Stefano di Biella e veniva nominato rettore il prete triverese Guglielmo Zegna. Fino a questa data D. Zegna era rettore della parrocchia di Mosso S. Maria. Dalle Visite Pastorali del 1573-74 si deduce che non dovette eccellere nella via della santità e fu persino accusato di aver ucciso un certo Giacomo Zegna («Rector pbr Guglielminus Zenia accusatus fuit ab Agnese de Triverio filia q. Jac. Zenie annorum XXV tamquam qui occiderit eium patrem, produxit testes examinandos Ubertinum Zeniam et Ber.num Jorium habitatores p.ti loci Triverij. Ipse tamen rector produxit absolutorias litteras S.mi et Curie ep.alis Vercelensis»). Nella Visita Pastorale del 1576 si scrive di lui: «… pbr Guglielminus Zenia del Triverio f.q. Jo.is et Bartholomee coniugum de Triverium annorum agens sexagesimum quartum in circa. Habitat domum paternam cum presbitero bapta eius nepote. Asserit se semper incedere in habitu et tonsura … Propter eius etatem parum studia quia non potest et propterea parum intelligit et ignorat penitus ceremonias misse. Non habet cantum figuratum. Conversatur cum dicto eius nepote presbitero. Cellebrat ter et quuater in ebdomanda et confiteur peccata sup.to eius nepote fere cottidie». Resse la parrocchia fino al 1590, anno probabile del suo decesso.

Giovanni Battista Zegna di Trivero (1593 – 1611)
Nipote del precedente, per molti anni aiutò lo zio come viceparroco. Nella citata Visita Pastorale del 1576 è già presentato in tale veste, figlio del fu Quirico Zegna e di Emilia, e con circa 32 anni di età. Era stato ordinato sacerdote a 21 anni il 26 febbraio 1564, «vacat studio cathechismi decretorum conciliorum … est excitandus ad studium quia per se fert satis ingeniosus adiscendi tam circa gramaticam quam circa cerimonias».
Nella Visita Pastorale del 1606 sta scritto che aveva ottenuto la parrocchia di Trivero da mons. Vizia il 4 aprile 1593, abitava nella casa paterna, si confessava tutte le settimane dal viceparroco di Bulliana, aveva i libri necessari, faceva catechismo tutte le domeniche e feste e spiegava il Vangelo due volte al mese. Il suo nome compare nel libro dei battesimo fino al 1610.

Andrea Ferro di Tollegno (1611 – 1616)
Nel 1610 si firma come cappellano di Trivero e dall’anno seguente come parroco. Resse la parrocchia fino al 1616, anno della sua rinuncia o morte.

Giovanni Gibello di Callabiana (1616 – 1628)
Prima di essere nominato parroco, era già viceparroco a Trivero. Inizia a firmarsi «curato» nel 1616. Resse la parrocchia fino al 1628, come appare dai registri anagrafici della parrocchia.

Giovanni Battista Gibello di Callabiana (1628 – 1660)
Nipote del precedente, gli successe nella cura di Trivero nel 1628. Fu curato per 32 anni e il suo decesso è così annotato all’inizio del libro dei battezzati: «L’Anno 1660 nel quale si fermò la Pace tra Principi xpiani Anno caldo e asciutto senza mortalità di persone Trivero restò Privo di Curato per esser statto condotto a Vercelli il Curato Gio. Batta Gibello di callabiana qual morì nel torrione del Vescovado il 10 7bre e ivi sepolto». Nello stesso libro si aggiunge: «… Taurino venere milites custodientes Joannem Bap.tam Gidellum andurnen, curatum domi deinde Vercell. Venee centum milites tamquam brachium seculare adhibit. Ab Ill.mo D. D. Hyeronimo de Ruvere Epo Vercellensi et ductus Vercellis obiit». Sarebbe interessante conoscere i motivi di una cattura così movimentata del parroco Gibello e quali retroscena essa nasconde.

Pietro Foglia di Portula (1686 – 1710)
Nativo di Portula, dal 1674 al 1686 era stato parroco nel suo paese d’origine. Il 13 luglio 1686, resasi vacante la parrocchia di Trivero per morte di D. Zegna, passò a reggere questa cura. Prese possesso probabilmente il 22 luglio successivo, perché nel registro dei battesimi annotò: «1685. die 22 Julij Petrus folia Prior ac Prepositus Eccl.e Par.lis … locj Triverij». Durante la Visita Pastorale del 1692 denunciò di avere 44 anni e di essere sacerdote da 20. Morì a Trivero il 1 febbraio 1710, all’età di 65 anni e fu sepolto nella chiesa parrocchiale: «Prima Februarij Adm. Rev. D. Parochus Petrus foglia huius Ecclesie an. 65 SS. Sacramentis refectus animam Deo redidit eius Corpus humatum fuit in Ecclesia huius loci». Alla sa morte fu eletto economo spirituale D. Giovanni Antonio Fila.

Fabrizio Maria Zerbino di Andorno (1710 – 1713)
Fu eletto alla parrocchia di Trivero per bolla apostolica del 21 luglio 1710. Prese possesso il 24 luglio successivo, come si può desumere da una annotazione nel libro dei morti, da cui appare che era laureato in giurisprudenza. Rimase a Trivero solo tre anni, poiché nel gennaio del 1713 fu trasferito alla parrocchia di Castelletto Monastero. Nella vacanza resse la parrocchia in qualità di economo spirituale D. Pietro Cervino.

Giovanni Andrea Gualinetto di Roasio (1713 – 1731)
Gli fu conferita la parrocchia di Trivero per bolla apostolica del 9 giugno 1713, prendendone possesso il 14 successivo, come appare dal libro dei morti. Rinunciò alla parrocchia nel 1731. Fu eletto economo spirituale D. Domenico Tallia.

Pietro Giardino di Trivero (1731 – 1737)
Il decreto di nomina alla parrocchia di Trivero porta la data del 15 giugno 1731. Dopo appena sei anni la morte lo troncò all’età di 40 anni. Il suo decesso è brevemente così descritto nel registro dei morti: «1737. Die 14 Aprilis mortuus est Rev.dus D. Prep.tus Giardinus etatis 40 circ. annorum et sepultus fuit in hac parochiali». Fu ancora una volta eletto economo spirituale D. Domenico Tallia.

Giovanni Battista Fasolio d’Aramengo (1737 – 1762)
Gli fu conferita la parrocchia di Trivero con decreto del 17 giugno 1737. Nella Visita Pastorale dei 1747 si legge che era stato ordinato sacerdote nel 1732. Morì in sede il 7 aprile 1762 e fu sepolto nella chiesa tra il pulpito e la cattedra della dottrina: «1762 die 7 Aprilis Ad.um R. D.nus Joh.nes Bapta Fasolius Prepositus huius loci Eccl.e e domi animam Deo redidit et depositus fuit in Eccl.a Parochiali inter pulpitum et Cathedram doctrine xpiane die 8 …» Fu nominato economo spirituale D. Giovanni Domenico Aprile.

Eusebio Marchisio di Ternengo (1762 – 1798)
Fu nominato parroco di Trivero nel 1762 e resse la parrocchia fino al 1798, anno della sua morte. Nel 1794 un’infermità gli impedì il ministero parrocchiale e fu sostituito dal viceparroco D. Pietro Ubertalli. Morì il 24 giugno 1798 a 67 anni e, come il suo predecessore fu sepolto in chiesa, tra il pulpito e la cattedra della dottrina: «Anno D.ni Mill.mo septingesimo nonagesimo octavo die vigesima quarta junii hora decima tertia matutina diem clausit extremum in sinu S.M.E. ad R. D. D. Eusebius Marchisio a Ternengo prepositus huius Parochialis Triverii post longam egritudinem patienter latam … annorum sexaginta septem circiter postquam gubernasset hanc Parochialem Ecclesiam trinta sex annorum spatio, cuius corpus die vigesima sexta eiusdem, obtenta facultate Ep.ali in hac parochiali Ecclesia inter pulpitum et Cattedram secus tumulum Ad. R. D. D. Fasolio predecessoris sui fel.rec pie reconditum fuit solemni pompa». Fu eletto economo spirituale D. Pietro Ubertalli.

Giovanni Domenico Vercellino di Zubena (1798 – 1812)
Fu nominato parroco di Trivero nel settembre del 1798 e vi rimase fino al 1812, anno della sua rinuncia.

Giovanni Domenico Borgnana Picco di Vallemosso (1813 – 1838)
Nella relazione della parrocchia del 1819 D. Borgnana scrive di avere 41 anni e di essere «stato promosso alla Parrocchia di Trivero sotto li 24 ottobre 1813, ed il benefizio gli venne conferito dal Sig. Vicario generale del Carretto, Diocesi di Vercelli, per concorso. Fu vicario foraneo e morì in sede il 14 aprile 1838 e fu l’ultimo parroco sepolto in chiesa. Era nato 60 anni prima a Vallemosso da Bernardo Borgnana Picco e Giacinta Polti. Nella vacanza fu economo spirituale D. Giovanni Battista Molinaro.

Pietro Bernardo Bullio di Occhieppo Superiore (1838 – 1877)
Fu eletto con decreto vescovile del 4 ottobre 1838 e fece il suo solenne ingresso in parrocchia il 14 dello stesso mese. Fu anch’egli vicario foraneo e nella relazione del 1875 scrisse di essere nato a Occhieppo Superiore il 1 maggio 1812 da Gio. Andrea e Lucia Bullio, di aver ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 20 dicembre 1834.«a titolo di cappellania ecclesiastica». Morì in sede il 10 marzo 1877 all’età di quasi 65 anni e fu sepolto nel cimitero. A suo ricordo i parrocchiani di Trivero eressero una lapide attualmente murata su un muro laterale della chiesa. Fu eletto economo spirituale il vicario D. Felice Rey.

Felice Rey di Bioglio (1877 – 1920)
Nato a Bioglio l’8 maggio 1848 da Agostino Rey e Maria Carta, studiò presso il prevosto di Ternengo D. Edoardo Gurgo (che fu poi canonico) e nel Seminario di Biella, ove fu ordinato sacerdote nel 1871. Fu viceparroco a Trivero con D. Bullio, a cui succedette nella cura pastorale; fu nominato alla parrocchia con decreto vescovile del 30 giugno 1877 e fece il suo solenne ingresso il 19 agosto successivo. Il 22 aprile 1901 fu nominato vicario foraneo. Fu monsignore e cavaliere. Resse la parrocchia fino al 28 agosto 1920, giorno del suo decesso, avvenuto a Trivero all’età di 72 anni. Fu sepolto nel cimitero e alla sua morte fu nominato economo D. Albino Gruppo, parroco di Portula.
Un busto ed una lapide, murate all’entrata laterale della chiesa dai suoi parrocchiani, ricordano le sue benemerenze e il suo apostolato a Trivero.

Giovanni Baudrocco di Sala (1921 – 1935)
Nacque a Sala il 5 agosto 1885 e fu ordinato sacerdote il 16 febbraio 1911. Fu viceparroco a Zubiena e cappellano degli Alpini durante la prima guerra mondiale. Ritornato in diocesi fu mandato viceparroco a Sordevolo e fu nominato parroco e vicario foraneo di Trivero con decreto vescovile dell’8 aprile 1920, prendendone possesso il 26 giugno successivo. Resse la parrocchia con grande spirito sacerdotale e morì, dopo una grave malattia, nell’ospedale di Biella il 4 ottobre 1935. La sua salma fu tumulata nel cimitero di Trivero. Nella vacanza fu vicario spirituale D. Carlo Quaglino.

Secondino Roberti di Santhià (1936 – 1960)
Nacque a Santhià da Giovanni Roberti e Erminia Ghietti il 19 novembre 1901 e ricevette l’ordinazione sacerdotale l’11 aprile 1925. Fu dapprima viceparroco a Valle S. Nicolao e nel 1930 a Mosso S. Maria. Fu nominato parroco e vicario foraneo di Trivero con decreto vescovile del 15 febbraio 1936 e prese possesso della parrocchia il 29 giugno successivo. Il 1 settembre 1960 rinunciò alla parrocchia per motivi di salute e svolse per diversi anni il compito di cappellano nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Bioglio. Ultimamente per l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche, si trova presso il Cottolengo di Biella, continuando con la sua preghiera e la sua sofferenza ad aiutare spiritualmente i suoi antichi parrocchiani.

Secondino Lanzone di Crocemosso (1960 – 2003)
Nato a Crocemosso il 22 ottobre 1926 da Ugolino Lanzone e Florinda Stella, studiò presso il seminario diocesano e fu ordinato sacerdote il 26 giugno 1950. Nello stesso anno fu mandato viceparroco a Vallemosso. Con decreto vescovile del 22 marzo 1955 fu nominato parroco di Castagnea, di cui prese possesso il 19 maggio successivo. Fu trasferito a Trivero il 7 novembre 1960. solennemente accolto dalla popolazione il 18 dicembre dello stesso anno.
Nominato prevosto della parrocchia di Botto il 1 giugno 1996, ne prese possesso il 5 giugno dello stesso anno.
Nominato prevosto della parrocchia di Bulliana il 1 dicembre 1996, ne prese possesso il 3 dicembre dello stesso anno.
Rinuncia agli incarichi parrocchiali il 1 settembre 2003 per diventare Rettore del Santuario della Madonna della Brughiera.

Gianni Pedrolini di Trivero (2003 -)
Nato a Trivero il 12/07/1941. Viene ordinato Sacerdote il 25 giugno 1967.

LA CHIESA PARROCCHIALE DI TRIVERO MATRICE

La primitiva chiesa di Trivero, sorta con la rettoria intorno al Mille, dovette andar distrutta nella rovina del paese, avvenuta nel 1306 ad opera di fra Dolcino. Il Segarizzi scrive a proposito: «Villa Moxi, Triverii, Cozzale, Flechie et plures cantonos de Crepacorio ac plures domos in Mortiliano et Quirino totaliter destruxerunt et combusserunt». E in un manostritto dell’A.P. si completa: «Distrussero gli empi Dulcinisti indiavolati e rovinarono le tere di Mosso, Trivero, Coggiola, Flecchia, Curino, Lessona, Mortigliengo, Cossato, Bioglio e i contorni di Masserano e di Brusnengo, abbruciando le chiese di Trivero, imbrattarono le pitture e le sacre immagini e levarono le pietre sacrate dagli altari e tagliarono un braccio ad un’immagine di legno innalzata in onore della B. Vergine. Rubarono i calici, libri, tutti gli altri vasi sacri e tutti gli ornamenti e beni della Chiesa, rovinarono di più il campanile d’esso luogo di Trivero e fracassarono le campane …».
Anche della sua immediata ricostruzione è rimasto ben poco, se si eccettuano alcuni muri perimetrali, con cornici in cotto, che però sono delle aggiunte e ampliamenti dei secoli XV-XVI. E’ rimasto invece intatto il campanile tardo romanico, con notevoli influssi gotici, risalente apunto all’epoca post dolciniana.
La più antica descrizione di questa seconda chiesa è contenuta nella Visita Pastorale del 1567, dove si legge: «Accessit ad locum triverii ad visitandam ecc.am dicti loci qam visitavit et invenit illam stratam bituminem et totam voltatam et dealbatam habentem navem maiorem cum tribus alijs, habenrem altaria quinque et super altare maiori adest quod, armarriulum pro custodia S.mi sacramenti et jn eo invenit tabernaculum unum … valde ornatum et decens jn quo aderat eucharistie sacramentum … Ecc.a redicta est sub titulo sanctorum quirici et Julite … Visitavit fontem baptismalem quem jnvenit satis honestum retentum … Cimiterium non est clausum». I primi dati ci dicono quindi che la chiesa aveva quattro navate, caso unico nel Biellese, ornate di volata e di pavimento di bitume, con cinque altari, di cui quello maggiore ornato di una grande ancona di legno dorato.
Più abbondanti sono le notizie conservate nella Visita Pastorale del 1573: «… D. Ep.us … accessit ad locum Triverij a civitate Vercell. Distantem per 24 miliaria … Visitavit Sant.mum Sacramentum repertum in calce ancone in eius medio in quadam Fenestra parva intus ornata panno laneo rubeo in hostia magna cum duabus particulus positum in tabernaculo argenteo inaurato … Baptisterium adest prope 2am columnam a sinistris maioris porte lateritium cum vase intus lapideo … d. baptisterium copertum tabulis et sera clausum et servit etiam pro sacrario …
Altare maius in regione orientali positum in navi de medio in fornice non picta, sed tantum dealbata, magnum, cum lapide sacro satis magno in medio mense, in quadam fovea satis decenter incluso, indotatum, ornatum in formam cum icona magna deaurata decentiss.e et valde pulchra cum imagine lignea Virg.is Marie, in quadam nitia posita ex sculptile, in calce illus reperitur fenestella in qua reconditum est S.mum Sacr.tum, cum bradella comptetenti ad quam ascenditur per duos gradus.
A sinistris immediate a d. capella adest Altare S.ti Jo. bap.te remotum a muro per brachium, sine icona cum bradela lateritia, parvum, cum lapide satis competenti in forma in medio mense incluso non dotatum cum quadam fenestra retro cum crate ferrea, sine telari et multum in celebrando periculosa, in eo celebratur aliquando ex devotione.
Sequitur altare S.te Agate satis angustum non dotatum sine lapide sacro, tamen cum fovea in medio mense, mapa tantum ornatum cum bradella latericia indecenti cum icona decenter picta et deaurata, positum in fornice non picta, retro altare reperitur quadam nitia, que alias inserviebat pro icona, et in eo non celebratur nisi ex devotione.
Huic accedit et aliud altare Beate Virg.is Gratiarum non dotatum, parvum, cum lapide sacro in mensa incluso parvo et indecentissimo sine ancona, cum imagine gloriose Virg.is filium in ulnis gestante, cum bradella lateritia parva, et d. altare est ornatum tribus mappis et in eo aliquando celebratur ex devotione.
Jmmediate a d. capella maiore et prope campanile in alia navi sequitur aliud altare sub vocabulo S.ti Nicolai in quadam fornice delabata, non ornatum, sine bradella et incona, non dotatum, cum lapide sacro valde parvo indecenti in angulo mense altaris posito, in quo non celebratur.
Partier sequitur altare Beate marie Virg.is, magnum in forma, cum lapide satis magno sacra in mensa incluso cum ancona supra bene picta et decenter deaurata, non dotatum, mappis ornatum cum bradella ex ligno in forma, telam habentem tegentem anconam, et in eo celebratur aliquando ex devotione.
Dicta ecc.a par.lis ex 4 navibus constat cum fornicibus dealbatis, que sustentanur 14 columnis latericijs, et in medio maioris navis adest lignum in quo pendet crucifixus sartis decens opertus mappa. Pavimentum ecc.e bene se habet et in eo adsunt quadam sedilia in maiori navi. Tria sunt labella aque benedicte mediocriter decentia. Quatuor habet portas cum foribus que clauduntur in forma, ad quas ascenditur per nonnullos gradus. Fenestre reperiuntur cum cratibus ferreis, sine telarijs. Extra porta maiorem adest porticus tegulis opertus, qui inservit pro cimiterio et circum circa ecc.am pariter est cemeterium non clausum.
In medio ecc.e adest pulpitus et ibi prope lampadarium ex 4 lampadibus, quarum una ante capellam maiorem ardet. Sacristia in quam descendditur per gradum est cum fornice dealbata, cum fenestra cum crate ferrea sine telario et in quadam capsa antiqua reperiuntur infrascripta bona …».
Da questa descrizione si deve concludere che la chiesa era orientata liturgicamente a levante; l’ancona dorata dell’altare maggiore portava al centro una statua lignea della Madonna (probabilmente quella cinquecentesca ancora oggi conservata nella casa parrocchiale); gli altari laterali erano dedicati a S. Giovanni Battista, a S. Agata, alla B. Vergine delle Grazie, a S. Nicolao e ancora alla Madonna; l’edificio era sostenuto da quattordici colonne di laterizio; ad esso davano accesso quattro porte; il piano del pavimento era rialzato di alcuni gradini in confronto al terreno circostante; e davanti alla facciata sorgeva un ampio portico, che serviva anche da cimitero, oltre al cimitero che si trovava tutt’intorno alla chiesa.
Altra interessantissima descrizione di questa chiesa ci è fornita dalla relazione della Visita Pastorale del 1606: «Visitavit Ecclesiam par.lem SS: Quirici et Julite loci Triverij … Baptisterium congruum … Est cancellis septum sed spatium est strictum. Altare maius est forma tolerabili cum Jcone decenti … Tabernculum ligneum congruum sed desiderat conopeum …
Jn fronte navis dextere lateralis est Altare S.ti Joannis absque titulo et redditu, indecentissimum forma semicirculi construcum, humile cum cancellis septum … Ad cornu Evangelij est circulus seu fenestra in modum semilune cum quibusdam imaginibus ligneis que sunt tollende et fenestra est muro obturanda et ad illud aliquando celebratur.
Sequitur Altare S.te Agate absque titulo et redditu est breve saltem uno pede longius faciundum. Habet Jconem ferendam … et retro illud est circulus muro claudendus …
Sequitur Altare B.V. absque titulo et redditu forma tollerabili licet aliquantulum humile … Habet jconem decentem … Juxta illud ad cornu Evangelij est lampas immundissima cum lampadario ferreo …
Jn fronte alterius navis lateralis est Altare Soc.tis S.mi Rosarij absque titulo et redditu breve et humile … Habet jconem decentem …
Porta lateralis ecc.e vel illa que est a sinistris porte maioris retro baptisterium est muro obturanda, cum tres sufficiant.
Ecclesia quattuor navibus constans est pavimentata et fornicata. Habetur suggestus indecens … Muri interiores ecc.e sunt calce prepoliendi. Ante porta maiorem est imago S.ti xpofori depicta super muro et alie imagines effracte que simul cum muro sunt dealbande. Jmago magna Crucifixi est decens … Turris campanilis est iuxta Sacristam recto altare Rosarij …
Cemiterium est undequaque muro clausum sed aliquibis in locis effracto et retro chorum ad eius ingressus desiderantur crates et fovee, sicuti etiam renovari et aptari debet fovea ad eius ingressum ante portam maiorem. Crux lignea est renovanda et porticus iuxta Ecclesiam est tegulis tecta. Tectum huius porticus est nimis humile et impedit prospectum frontis ecc.e Ideo altius faciendum et fornicandum adaptando partem ipsius ante hostium maiorem ut dignoscatur esse porticus … Super porta maiori sunt imagines sacre prepoliende …
Sacristia tolerabilis licet humilis sed desiderat locum orationis, retro armarium paramentorum est fenestra muro obturanda et altera fenestra caret speculari …
Statuendum est quod chorus diruatur ut decentior fiat et iam sunt ducenti aurei in hoc expendendi ex eleemonisis piorum …».
Degli altari laterali non si accenna più a quello di S. Nicolao e il secondo di quelli dedicati alla Madonna ha il titolo specifico della Vergine del Rosario. Preziosa l’annotazione riguardante gli affreschi della facciata, rappresentanti S. Cristoforo e altri Santi, come pure quelli sopra la porta principale. Il visitatore vescovile invitava i triverese a ricostruire il coro in forme migliori. Col coro fu ricostruita quasi tutta la chiesa, perché nella Visita Pastorale del 1661 sta scritto che l’edificio era ridotto a tre navate e risultava consacrato.
Si legge infatti: «Visitavit Eccl.iam Parro.lem sub tit.° S.rum Quirici et Julia Martyrum … Altare habet simulacrum B.V.M. jn Nicia decenti positum cuius ornamuntum est decenter constructum cum diversis effigibus Sanctorum ::: Desunt Cancelli ante Presbiterium … Fons Baptismalis lapideus …
A latere Altaris maioris jn cornu Evangelij adest Capella sub tit.° S. Antonij de Padua que habet omnia ad prescriptum … Adest et Altera Capella sub tit.° S. Agathe pariter de necessarijs provisa … Adest et Altera sub tit.° B.V.M. Gratiarum pariter de necessarijs provisa …
Jn cornu Epistole est Capella decenter ornata a necessarijs sub tit.° B.V.M. de Rosario jn qua est simularum de B.V.M. … Sugestum et Confessionale … Ecc.ia ipsa constat tribus navibus fornicatis et calce bene linitis, sed pavimentum jndiget multis im partibus reparatione. Eccl.ia p.ta est Consacrata et agitur dies dedicationis in fest S.ti Rochi …
Visitavit Sachristiam Eccl.ie Parro.lis que est a latere Altaris maioris, jbi adest Armarium pro conservandis paramentis et suppellectilibus ad celebrationem …».
Nella ricostruzione, l’altare di S. Giovanni Battista fu dedicato a S. Antonio di Padova e negli anni immediatamente successivi se ne aggiunse un altro in onore di S. Giuseppe. Lo si ricava dalla Visita Pastorale del 1665, la quale accenna pure a prezioso reliquiari: «… Altare a cornu ep.le nondum benedictum decicatum S. Josepho … Reliquiaria quinque adsunt unum quidem magnum cum vitreis in formam ostensorij …». Quasi tutti questi reliquiari esistono ancora: il primo è di legno dipinto di nero con alcuni disegni, ha la forma di un ostensorio e contiene diverse reliquie, tra cui una della S. Croce, con iscrizioni cinquecentesche (credo che sia il più antico del Biellese): i due busti ricordano l’arte valsesiana, sono di legno dorato e dipinto e risalgono alla metà del secolo XVII. Sono invece scomparsi gli altri, ma al loro posto se ne trovano altri due, assai grandi, di legno dorato, sorretti da un Angelo, della seconda metà del secolo XVII. Come pure non dobbiamo ricordarne altri, acquistati nel secolo successivo, di cui però non è restato alcun ricordo negli archivi. Sono due grandi reliquiari di legno dorato e argentato, altri due, sempre di notevoli dimensioni, di rame argentato e un altro, più piccolo, per la reliquia della S. Croce, pure in lamina di rame argentato.
Il 27 gennaio 1671 si faceva capitolazione con i mastri Giovanni Antonio e Pietro Selletto di Campertogno per la scultura della cassa del battistero, da collocarsi «sovr’il vaso di marmore bianco già molti anni sono a questo fine da ministri di d.a Chiesa provisto». Nel contratto si stabiliva ce doveva essere «dell’istessa intagliatura. quadratura, qualità, forma, altezza, politezza e largezza di quello si trova piantato e fabricato nella Chiesa Maggiore Par.le di S. Lorenzo d’Andorno, anzi di più faranno li quadri a semblaggio», il tutto provvedendo la parrocchia assi, ferramenta e l’olio «quando volessero travagliar alla notte et anche il dormire e uttensili necessari». e la somma di nove doppie. Questo battistero, restaurato di recente e collocato in una cappella vicino all’altare maggiore, esiste ancora e già nella Visita Pastorale del 1675 era definito «insigne». I pannelli sono semplici e sono divisi da lesene con capitello ionico, ornate di Angeli e cascate di frutta. Due balconate di piccole colonne coronano i due piani della piramide, nell’ultimo dei quali è contenuto l’immancabile gruppo di S. Giovanni che battezza il Cristo.
I fratelli Giovanni Antonio e Pietro Seletti o Seletto di Campertogno non erano solo scultori di legno, ma anche stuccatori e mastri di muro e in queste qualità nel 1684 si trovavano nuovamente a Trivero per costruire l’altare con l’ancona e gli stucchi delle pareti della cappella di S. Agata ancora esistenti. Nel contratto, stipulato nel novembre del 1694, si legge … «… saranno tenuti et obligati di stabelir la volta con far un quadro in essa simile a quello che hanno fatto nella Capella del Angelo Custode eretta nella Parochiale di S.M. di Mosso con aprir una fnestra osia mezza luna verso il levante in d.a Capella et altra simile se sarà necessario dal altra parte verso il ponente et serar le due finestre verso mezza notte con piantar una ancona … con due colone a vivo cioè che sia essa ancona di belezza et opera di quella della Madonna delle Gratie … et con far il suo bello fogliame et stuco. Di più saranno tenuti di far due quadri uno per parte in d.a Capelle con suoi fiorami d’atorno …». L’accenno agli stucchi della cappella della Madonna delle Grazie lascia pensare che anche questi lavori siano stati eseguiti dagli stessi Seletti alcuni anni prima.
In un altro contratto (senza data, ma che dai caratteri calligrafici deve risalire agli ultimi decenni del secolo XVII) si pattuiva con il mastro Carlo Rocco Gilardi l’esecuzione dell’ancona (scomparsa) e dei finissimi stucchi che ancor oggi ornano le pareti della cappella di S. Antonio di Padova (ora battistero). Nel 1698 l’altare del Suffragio era dotato di una nuova «scalinata … e tabernacolino».
Verso il 1696 la chiesa venne allungata di un’arcata, ricavano due nuove cappelle, in una delle quali si pensava di sistemare il battistero (progetto svanito) e si costruì una nuova facciata. La data d’inizio di questi lavori ci è conservata nella supplica del 1712 per erigere in una di queste nuove cappelle un altare in onore della Madonna del Carmine: « … si come il fu M.to Ill.re et M.to Rev.do Sig. D. Pietro Foglia vivendo Prevosto della Parochiale di questo luogho anni sedici circa sono di consenso della maggior parte de Particolari e parochiani di questa cura fece dar principio al slongamento di detta Chiesa Parochiale alfine di potervi far construere di novo altre due Capelle come in fatti si sono fabrichate, e come si ritrovano al presente in bon stato con essersi riffatta la faciata di detta Chiesa …».
Per far posto al nuovo corpo di chiesa si dovette sistemare diversamente il cimitero e nel 1699 si trova già la spesa per la costruzione della cappella del battistero, per le fondamenta della facciata e per il pavimento in pietra dell’intero edificio. I lavori per la facciata si protrassero per oltre vent’anni, come si può desumere dal libro dei conti della compagnia del Corpus Domini, nel quale sono registrate le varie spese, senza mai riportare i nomi degli ideatori e dei vari mastri.
Nel 1712 nella nuova cappella, a sinistra entrando, si costruì un altare, dedicato alla Madonna del Carmine, che divenne sede della confraternita omonima e su cui si collocò un quadro della Vergine donato dai fratelli Bartolomeo e Giovanni Lora. Nel 1716 i confratelli avevano progettato di erigere un coro dietro questa cappella per le loro ufficiature, ma il progetto non fu realizzato. Si costruì invece nel 1717 un’ancona in stucco marmorizzato per l’altare (demolita negli ultimi restauri), su cui trovò posto una grande statua di legno della Madonna del Carmine, scolpita nel 1718 da Giovanni Mainoldi di Varallo, ancora esistente. Nella seconda metà del secolo XVIII i confratelli ornarono le pareti della loro cappella di stalli lignei con dossali finemente scolpiti, che per completa somiglianza con quelli della chiesa parrocchiale di Portula sono senza dubbio da attribuire allo scultore portulese Giovanni Pietro Rista. L’altra cappella, invece di divenire sede del battistero, fu dedicata al Suffragio e ornata, come si vedrà più avanti di un pregevole altare di marmo e di numerosi dipinti murali.
Ed ecco come la chiesa fu descritta in un inventario del 1731: «… la sud.ta Chiesa contenente il Coro guarnito di Ancona, Altare, tabernacolo con Baldachino di sopra di seta t altro Baldachino di coramme stampato sopra dell’Ancona … più cinque Capelle guarnite et tutte capaci per celebrare la santa Messa et altra solamente con quadro di S. Bernardo, tutte con sue Ancone, Angeli latterali, Bardelle et altri ornamenti necessarij … Più due Sacristie una verso mezza notte et altra verso mezzo giorno …
Più Battistero con piede di pietra di sotto et al di sopra di Bosco intagliato con varie figure … Più un Pulpito appeso al Pilastro … Più due Confessionali … Più quadri n.° Ventitre appesi alle muraglie del Coro e Chiesa continenti diversi ritratti e figure … Più altra Capella della Santis.ma Vergine del Carmine in detta Chiesa ornata d’Ancona a stuccho, Altare et altri ornamenti … et un quadro con varie Pitture appeso alla muraglia di d.a Capella e tutte dette Capelle e Coro con sue stechate di ferro in parte et altre di bosco …».
Nel 1744 si decideva di ingrandire la sacrestia e si ricorreva al Vescovo di Vercelli per «aver la permissione di far lavorare ne giorni anche di Festa per puoter massime far trasportare materiali e Boscami». E il Vescovo dava il suo consenso, escludendo le feste più solenni e solo fuori del tempo delle sacre funzioni.
Una nuova supplica fu inviata a Vercelli nel 1758 per la riedificazione del presbitero. In essa si legge: «… non sendo il Coro presentaneo d’essa Parrocchiale loro corrispondente all’Edificio della Chiesa, hanno perciò concordemente determinato di ingrandire con proporzione il Coro predetto; e ciò mediante oltre all’uniformità di disegno, procurarsi un sito maggiore per commodo delle solite fonzioni Parrochiali, non meno che la costruzione di una nuova capace Sagristia, la di cui opera però richiedendo di dover demolire l’altare maggiore e due altri laterali e forz’anche quello ivi dedicato a St. Agata, abbassare per la misura di due in tre piedi il pavimento …, di provvederli di opportuno e favorevole decreto …». Anche questa volta il parere fu favorevole, ma la realizzazione non ebbe effetti così grandiosi.
Si legge infatti in una nota del parroco D. G.B. Fasolio d’Aramengo: «1758 alli 30 di maggio essendosi divenuto alla restaurazione, o sia riforma del Coro della presente Parrocchiale di Trivero …, non si è riformato più largo, né lungo di quello che al presente si vede, perché gran parte del popolo contro il parere de Periti e di me infrascritto s’intestò non doversi uscire fuori dalle muraglie vechie con detra nuova restaurazione, ingannata dalla falsa tradizione che le muraglie del Coro vecchio fossero fondate sopra li passoni, e non vi fosse sodo fondo, onde si dovesse fare una eccessiva spesa senza che detta nuova fabrica fosse per esser ben fondata. La verità però sta ed è che essendosi scavato al di dentro di dette muraglie vechie dodeci piedi manuali sotto al presentaneo pavimento, dove si è piantato il nuovo incrostamento, si è ritrovata la roccha viva e sodo fondamento. O’ stimato poi di lasciar a miei Sig.ri Successori la presente memoria per loro regolamento, quando desiderassero far di nuovo dilattar detto Coro, come anche per mia discolpa, affinchè non abbino da pensare che io nutrissi basse idee, quando si trattava di far qualche opera a gloria del grande Iddio; e a tal’effetto alla venuta del Sig. Boggio di Campiglia Ingeniere per non essere a parte della bassa idea, che dalla maggior parte del mio popolo si nudriva e si volea esequita, io son partita da Trivero, e mi son portato a Masserano».
La ricostruzione del coro era l’inizio di una ristrutturazione totale della chiesa, auspicata fal Vescovo durante la Visita Pastorale del 1747. Nella relazione si diceva: «Hec Parrocchialis Ecclesia inter vetustas recensetur, et constat tribus navibus parvis columnis sustentata eademque ex diligentia D.ni Prepositi in dies in meliorem formam redigitur». Questo documento ci fa anche conoscere la trasformazione dei vari altari laterali, avvenuta in seguito all’allungamento della chiesa e la presenza del fonte battesimale in una piccola cappella, sita nelle vicinanze dell’altare maggiore, dal lato dell’epistola: «Visitavit inde fontem Baptismalem que intra parvam Capellam non multo distantem ab altari maiori, et a cornu Epistole, piramydaliter est errecta … Consecratio Ecclesie ex antiqua traditione fit cum eius octava sub die decima sexta mensis Julij … A cornu Evangelij Altare sub titulo S.ti Antonij Patavini cum stemmate D.ni Marchionis Fleurij, quod tamen sumptibus Ecclesie manutenetur: et est ad prescriptum. Altare sub invocatione Nativitas B.me Vrginis Mater noviter sumptibus Ecclesie peculiari pictura auro mixta eleganter admodum errectum … Altare sub titulo S.te Agathe … Altare sub invocatione B.me Virginis Marie de Monte Carmelo … cornu Epistole Altare S.ti Bernardi Archidiaconis; ad quod non celebratur; et est omnibus destitutum. Altare sub invocatione cum Simulacro B.me Virginis Marie Ss.mi Rosarij … Altare Ss.mi Suffragij; quod in cunctis ad prescrictum existit …».
Il nuovo presbiterio fu ornato di un altare maggiore in marmi policromi, scolpito da Francesco Rossi e benedetto nel 1764. Anche la balaustra in marmo è della stessa epoca e sembra da attribuirsi al medesimo scultore. Completava il presbitero una grande tela, raffigurante i Santi Patroni (ora collocata in una cappella laterale), firmata da Giovanni Rastelli di Cellio e datata 1760. Pure in marmo, a forma di grande ancona, venne rifatto l’altare del Suffragio. La capitolazione con il marmorista Francesco Olgiati di Viggiù per la sua esecuzione porta la data del 26 marzo 1761 e il prezzo stabilito in £. 1.200 di Piemonte. La cappella fu completata con una serie di dipinti murali e di una tela per l’altare, probabili lavori del pittore valsesiano Pietro Vellata, che nel 1782 lavorò per la compagnia del Suffragio (si vedano anche le pitture eseguite dal Vellata nel 1793 nella cappella del Rosario nella parrocchiale di Portula). Nel 1757 si facevano eseguire da scultore ignoto (ma che potrebbe identificarsi col mastro Pietro Perino di Flecchia come lascia supporre la bussola scolpita da questo artigiano per la parrocchiale di Vallemosso) le bussole delle due porte laterali della chiesa, pregevoli lavori di sculture e intarsi. La bussola della porta centrale risale invece al 1787 e fu scolpita dal mastro Pietro Rista di Portula. Su di essa trovò posto l’organo, costruito da D. Giuseppe Ragozzi della Colma di Valduggia, ornato da una pregevole orchestra, scolpita ancora dal Rista.
Nel 1797 si affidava agli stuccatori luganesi Antonio e Giovanni Cattaneo la ricostruzione di un altare con ancona in stucco per la cappella del Rosario (demolito nei recenti restauri). L’antica ancona in legno, preziosissimo lavoro del secolo XVII, veniva rimossa e collocata in sacrestia, dove rimase fino a pochi anni fa, quando vene demolita e scomposta e si trova ora in un locale della casa parrocchiale. Risale alla metà del secolo XVII ed è da attribuire allo stesso artista della Valsesia che nel 1651 scolpì l’ancona dell’altare maggiore del santuario della Brughiera, e nello stesso tempo anche l’ancona del Rosario nella chiesa parrocchiale di Veglio. In attesa di restauro è pure rimasta la statua della Madonna che occupava la nicchia centrale dell’altare. E’ di legno dipinto e dorato, della stessa epoca e della stessa mano. Come pure tre delle piccole quattro statue, rappresentanti S. Bernardo, S. Anna e l’Angelo Custode, che erano collocate su altrettante basi nella parte inferiore dell’ancona, come si può vedere in una fotografia di mezzo secolo fa.
I parrocchiani di Trivero pensarono anche di dotare la loro chiesa di preziose suppellettili sacre, tra cui alcuni paramentali di broccato del secolo XVIII. Nel 1752 si acquistava una croce astile d’argento, che nel 1795 fu requisita dal governo. Nel 1781 si fece acquisto di un calice e di un ostensorio d’argento. Nel 1802 si comperarono all’incanto un baldacchino, una pianeta e due piviali, provenienti dai conventi soppressi di Biella; nel 1803 si iniziava la confezione della tappezzeria per ornare le pareti della chiesa, lavoro in broccatello rosso, eseguito dal tappezziere Gaetano Magnetti di Biella.
Tra i lavori di scultura in legno, merita una parola a parte la Via Crucis, scolpita da Pietro Antonio Serpentiere di Sagliano. Ebbe un’origine assai curiosa. Nel 1808 cadde sul territorio di Trivero una grande tempesta, tanto che il Comune ottenne una bonificazione di centocinquanta franchi. Dividere tale somma tra i vari danneggiati sarebbe stata una beffa, in quanto ogni danneggiato avrebbe avuto una cifra insignificante. Il Comune pensò allora di devolvere tale somma per «far construire … li quatordeci Quadri, osiano Stazioni della Via Crucis». Il 1 aprile 1810 l’amministrazione parrocchiale stipulava un contratto con Gaetano Magnetti di Biella, obbligandolo: «1° che d.° S.r Magnetti sii tenuto di far scolpire li quadri necessari per compimento di d.a Via Crucis in n.° di quatordeci con tutte le figure necessarie per mezzo del Sig. Pietro Antonio Serpentiere scultore in Andorno Sagliano, e che d.a opera sia in tutto e per tutto uniforme a quella esistente in d.a chiesa di Sagliano …; 2° d.° S. Magnetti sarà tenuto di colorire tutti li quadri e figure secondo le regole con buoni colori, ed indorare le cornici di d.i quadri a dovere con oro zecchino …; 3° D.a fabrica … si obbiga di corrispondere fatto luogo ai franchi cento di già sborsati nell’acquisto delli assa di noce necessari, la somma di franchi seicento, di quali saranno tenuti di pagare franchi trecento sessantaquattro al d.° Serpentiere, prezzo convenuto per la scultura … e li rimanenti residui franchi duecento trenta sei saranno tenuti di quelli pagare al d.° S. Magnetti terminata l’opera sud.a e colaudata …». Il 24 maggio il Serpentiere riceveva la somma pattuita e scolpiva la Via Crucis; altrettanto il 27 luglio riceveva il Magnetti «per la pitura ed indoratura».
Il lavoro del Magnetti non fu però duraturo, tanto che nel 1881 la Via Crucis si trovava già «in stato di deperimento nella coloritura e indoratura». Si procedette ad un radicale restauro, affidando l’indoratura all’indoratore agostino Ozzino di Biella e la coloritura al pittore Pietro Mazzietti. La popolazione, raggruppata nelle varie frazioni, andò a gara nel sopperire alle spese delle singolo Stazioni. Il Magnetti dovette pure essere l’esecutore del baldacchino in legno dorato, posto sopra l’altare maggiore, di cui esiste in A.P. un doppio disegno con la data del 7 luglio 1804. Nel 1824 si fece scolpire la statua della Madonna Addolorata, probabile opera dello scultore Giuseppe Zaninetti di Crevacuore, come appare da un disegno dello stesso anno precedente. Fu collocata in una cappella laterale, decorata da un non meglio identificato «pittore di Portula» (attualmente non più esistente).
Nel 1831 si dovette rifare l’organo e la sua costruzione fu affidata all’abate Maurizio Broglio di Borgofranco e a suo nipote, che lo eseguirono per il prezzo di £. 1.900. Fu pii rifatto un’ultima volta dal Bianchi, dandoci l’organo attuale.
Abbiamo più volte ricordato i due altari dedicati alla Madonna delle Grazie e a S. Agata; questi altari conservano due pregevoli tavole cinquecentesche di Giovanni Battista Giovenone. La prima rappresenta la Madonna e Santi e fu malamente incorniciata in altro dipinto con Angeli svolazzanti. La seconda raffigura il martirio di S. Agata ed è la sola firata e datata (1546). La didascalia non è più ben leggibile, ma dalle parole che si riescono interpretare, tra cui il nome del Giovenone e la frase «hoc pixerunt in societate – 1546», si deve dedurre che all’esecuzione di questa tavola abbia contribuito anche un altro pittore, il cui nome è scritto nella didascalia, ma è corroso e non decifrabile. Inoltre la figura della Santa fu nel passato ritoccata con l’aggiunta di un vestito per coprirle la nudità del seno. Il tutto è racchiuso in un ‘elegante cornice di legno drato rinascimentale culminante in una lunetta su cui e dipinta una Madonna con il Bambino. Anche se l’altra tavola non è firmata, basta un semplice confronto per capire che è anch’essa opera del Giovenone. Per di più ci è di conferma un documento del 1548, nel quale Giovanni Battista Giovenone chiede il pagamento di due ancone da lui eseguite per il borgo di Trivero. In esso si legge: «1548. 14 marcii. In vic. ecc. sci Michaelis … Ibique cum sit quod mag.r Bapta de Juvenonibus, filius m.ri Petri, civis et pictor Vercellar. fecisset duas anchonas in loco Triverii et propertea petret soluciones ab Ubertino Genia de eodem loco Triverii et prout constat in actis agitatis coram ill.mo Senatu ducali Vercellis residente, hinc fuit et est quod mediante tractatu mag.ci d.ni Capitanei de Puteo ad infrascriptam conventionem venerunt ipse M.r Bapta de Juvenonibus et ipse Ubertinus sponte … convenit et promisit ac se debitorem constituit prefati mag.ri Bapte pro duabus anchonis de scutis decem auri Janue ad rationem florenorum octo Sabaudie pro scuto …».
La decorazione dell’intero vano della Chiesa e delle cappelle (rimodernata egli ultimi restauri) fu eseguita nel 1880-81 dai fratelli Giovani e Pietro Mazzietti e Davide Zanello di Caprile. Esiste nella chiesa di Trivero anche una tela, che non ha valore artistico, ma può interessare dal punto di vista storico. Risale al 1677 e raffigura la Madonna di Oropa con i Ss. Sebastiano e Rocco e lo stemma dei marchesi di Trivero. Su di essa si trova la seguente iscrizione: Triverum peste afflictum anno 1632 perpetuo se – voto astrinxit singulis anni diebus SS. Sebastiani et – Rochi ad honorem Dei laudem, singularem recolendi mem – moriam et processionaliter annuente Deo incedendi – Triverii an. 1667 M. A. Broglia ep.o et Jo. Maria Zegna – rectore.
La parrocchia di Trivero conserva due statue della Madonna, risalenti al ‘500 e che sono da considerarsi tra le più antiche del Biellese. La prima, di legno dipinto e di notevole altezza, rappresenta la Vergine in pianto e doveva far parte di un gruppo, formato da diversi personaggi, detto comunemente «il Compianto» tra cui S. Giovanni, le pie donne, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, stretti in pietoso raccoglimento e dolore attorno al corpo del Cristo morto, appena staccato dalla croce. Purtroppo tutti gli altri personaggi sono andati dispersi e perduti. La seconda Madonna, la più nota, è una delle solite statue della Vergine con il Bambino in braccio, di legno dipinto di scuola valsesiana del Secolo XVII. E’ una Madonna dal volto triste, con un Bambino paffuto e ingenuo come i figli degli antichi mandriano e pastori della zona.
Tra le suppellettili sacre conservate nella sacrestia meritano speciale menzione un piviale e una pianeta settecenteschi in tessuto d’oro su fondo rosso, con ampia stola e grossi fiori su fondo argentino e un ostensorio d’argento a campana, tutti del secolo XVIII. Ricordiamo inoltre un calice di composizione del primo cinquecento, che da una scritta risulta appartenere al can. Bernardo Spinis, che in quel tempo fu titolare della parrocchia. Ha il piede a sei lobi a tutto sesto e nodo portante sei tondi su cui sta la scritta che ricorda la sua appartenenza al can. Spinis. Altro interessante oggetto è un ostensorio a campana del secolo XV, col piede a sei lobi finemente lavorati e con ornati gotici nella parte superiore. Rappresenta l’ostensorio più antico del Biellese. Sono ancora da ricordare un raggio grande di rame argentato in stile Impero; un calice d’argento cesellato del secolo XVIII; due calici barocchi, un ornato di figure di santi, di cherubini e delle tre virtù teologali, l’altro di cherubini e dei simboli della Passione, del secolo XVIII; una pisside con il piede lavorato e la coppa e coperchio d’argento della stessa epoca; un turibolo d’argento, pure del ‘700; un piviale e una pianeta bianca in broccato d’oro e seta a grandi fiori della fine del secolo XVIII; una pianeta rossa in broccato d’oro, argento e seta del secolo XVIII; diverse croci da altare e una serie di candelieri di rame argentato del secolo XVIII; il candeliere per il cero pasquale di legno dorato e argentato della fine del secolo XVIII; sei angeli reggi candela di legno dorato e dipinto dell’inizio del ‘700; un tabernacolo di legno dorato dell’inizio del ‘600; un Cristo deposto nel sepolcro di legno dipinto dell’inizio del ‘700; un Cristo legato di legno dipinto, del secolo XVIII, che si portava in processione la sera del Giovedì Santo; diversi candelieri di ottone dei secoli XVII-XVIII e numerosi altri di legno argentato dell’inizio del secolo XIX; un altro tabernacolo di legno dipinto e dorato della prima metà del secolo XVII. Pregevole è pure l’armadio della sacrestia, a disegni geometrici, del secolo XVII. Lo stesso dicasi del confessionale (ampliato nei recenti restauri), simile a quelli di Portula e di Postua, risalenti alla fine del ‘600 e all’inizio del secolo successivo e attribuibili al mastro Giovanni Pietro Molino di Campertogno.
A ricordo della dominazione viscontea su Trivero è rimasto sul portale principale della chiesa lo stemma dei Visconti, scolpito in pietra. Ricordo di tempi ormai lontani, densi di storia e di avvenimenti.
Il campanile è una costruzione romano-gotica con cella campanaria del secolo scorso. La parte più antica presenta una muratura formata da pietre ben squadrate, soprattutto nelle lesene angolari, anche se nei grandi spazi è coperta da intonaco. Si innalza per quattro piani, ornato il primo da una larga feritoia, da bifore il secondo e il terzo e da trifore il quarto, equivalente quest’ultimo alla primitiva cella campanaria. Le bifore e le trifore, a causa dello spessore del muro, che alla base arriva quasi al metro e mezzo, sono divise da doppie colonne di pietra, reggenti un lungo capitello a stampella. La decorazione dei vari piani è costituita da nove archetti pensili per facciata, scolpiti su grandi blocchi di pietra, tagliati con grande simmetria, su cui corre un motivo, sempre di pietra, a dente di sega, coronato da una lastra perfettamente squadrata. E ,mentre le centine delle bifore e delle trifore sono a tutto sesto, secondo lo stile dell’arte romanica, quelle degli archetti pensili sono a sesto acuto, secondo i canoni dello stile gotico.
Il ritardo di quasi un secolo nei diversi stili del nostro Biellese, maggiormente accentuato in queste zone di montagna, isolate e lontane dal centro, poco abitate e dedite quasi esclusivamente alla pastorizia e all’allevamento del bestiame, la tecnica assai progredita della costruzione e la presenza di elementi romanici e gotici, fanno collocare la costruzione di questo campanile all’inizio del secolo XIV, dopo cioè le distruzioni operate dai seguaci di fra Dolcino.
Anticamente, come appare dalle citate Visite Pastorali, era sormontato da una guglia, che fu abbattuta e sostituita dall’attuale cella campanaria, in stile completamente diverso nel 1807. Il 23 luglio di tale anno si riferiva nell’adunanza dell’amministrazione parrocchiale che si era chiamato un perito nella persona dell’arch. G. B. Maggia di Biella, «il quale trasfertosi sovra il luogo di d.a guglia, vi riconobbe essere la medesima guasta e minacciante rovina, e che avrebbe pur anche rovinata l’ivi unita Chiesa e … fece presente che la ristaurazione della medesima poteva essere di poca permanenza e di molto dispendio, sia nel ristabilirla sia nel mantenerla e che sarebbe stato di molto maggior vantaggio e di minor spesa il demolirla, e di fare alzare d.° Campanile e coprirlo in una maniera non solo più stabile e permanente ma eziandio più decorosa …». Nello stesso anno il lavoro era mandato ad effetto per opera del maestro G. B. Miniggio di Pettinengo, mentre le pietre furono lavorate da Carlo e G. B. Guglielminotti di Cossila.
Il cimitero sorgeva in antico, come si avrà notato dalle relazioni delle diverse Visite Pastorali, attorno alla chiesa e sotto il portico della facciata. Alla fine del secolo XVII, demolito il portico per allungare la chiesa, si ampliò il recinto cimiteriale attorno alla chiesa. La nuova parte fu benedetta il 3 ottobre 1696 dal parroco D. Pietro Foglia, che così annotò l’avvenimento: «1696. alli 9 del mese di 8bre dichiaro Jo infrascritto haver d’ordine di monsig. Vesc.° di Vercelli preceduto alla beneditione del Cem.° di questa Chiesa par.le Mag.re de SS. Quirico e Giulita … havendo questo benedetto, o sia riconciliato il sito che si ritrova la di dentro della muraglia di d.° Cim.° chiuso, come pure il sito ove altre volte si soleva far la Carità di S. Spirito, di modo che in l’avvenire si possa liberamente seppellire li Cadaveri senza nessuna eccettuazione in d.° Cimetero al di dentro della muraglia sud.a, sendosi fatta la fontione la seconda Domen.ca del mese sud.° con assistenza del Clero e popolo di questo luogo di Trivero …».
Nell’interno avevano sepoltura gli ecclesiastici e alcune famiglie. Però all’inizio del secolo scorso questi sepolcri non erano già più in uso. Si legge in proposito nella relazione della parrocchia del 1830: «Vi è in questa Parrocchiale una sola sepoltura ben chiusa avanti l’altare di S. Agata a parte sinistra dell’entrata senza che in essa vi si seppellisca persona. Vi è il Cimitero che circonda la Chiesa … egli è alquanto scarso riguardo alla numerosa popolazione … I Sacerdoti si seppelliscono fuori delle porte della Chiesa, ed i fanciulli in una sepoltura esistente intorno alla Sagrestia ben chiusa e custodita da serraglio di ferro».
Nel secolo scorso il cimitero fu trasportato nella località attuale, verso la frazione Vico, sulla strada per Biella. Fu benedetto da mons. Basilio Leto il 2 agosto 1880, in occasione della Visita Pastorale, unitamente ad una cappella della tomba della famiglia Cerino-Zegna.